Chi è Gianni Depaoli? Faccio parte di una famiglia che da tre generazioni si occupa della commercializzazione di pesce. Per seguire l’azienda ho scelto ragioneria ma, grazie alla passione tramandatami da mio padre, ho sempre disegnato, dipinto e studiato con profondo rispetto questo nobile essere. L’ammirazione - quasi viscerale - per il suo ambiente, mi ha sollecitato e spinto a creare numerose opere in modo di far capire quanto importanti siano la sua salvaguardia, il valore assoluto dell’ecosostenibilità e il rispetto della biodiversità. Un modo forse istintivo per tutelarne l’esistenza ma soprattutto con la volontà di sensibilizzare il problema e, un giorno, poter arrivare a regolamentare i processi di pesca e impedire le stragi indiscriminate.
Come incomincia il suo viaggio nel mondo dell’arte? In modo casuale e piuttosto curioso... Una serie di sedute dal dentista durante le quali il pensiero si elevava oltre il mio lavoro che, in fin dei conti, era soltanto quello di commercializzare un prodotto peraltro esistente. A differenza dell’odontotecnico che dal nulla creava nuovi denti, il mio era un lavoro puramente gestionale. Ho pensato che, per sentirlo ancora più mio, avrei dovuto muovermi in tutt’altra direzione. Nient’altro che materializzare l’urgenza delle mie sensazioni! Il passo successivo è stato quello di proporre temi forti e popolari quali l’inquinamento e il deturpamento del patrimonio naturale da parte del genere umano. Una serie di elementi di chiara denuncia sociale che trovano terreno fertile nell’inquietudine del pubblico più sensibile. Le prime installazioni - presentate nel settembre 2007 al Museo di Scienze Naturali di Bergamo con la mostra “Mare Nero”- rappresentavano in modo crudo e piuttosto cruento i disastri ambientali causati dallo sversamento di idrocarburi in mare ad opera delle “carrette del mare”. Una mostra che fu il viatico per una serie di esposizioni sempre più ricche, arrivando a trattare i temi del degrado ambientale e marino, comprese le mattanze dei delfini, delle foche, delle balene e degli squali. Mostre che non erano altro che la sollecitazione di sforzarsi a guardare cose che, in ogni parte del mondo, accadono quotidianamente ma che non vogliamo vedere.
Nel suo percorso artistico ha avuto dei maestri? Nessun insegnamento. Ho sempre avuto la passione per l’arte e ho sempre cercato di esprimere quel che provavo non con le parole ma con delle creazioni, sia esplicite che concettuali. Mentre qualche ispirazione dai grandi maestri dell’arte invece l’ho assorbita da Alberto Burri che, utilizzando materiali apparentemente inutili, testimoniava il suo disagio rappresentando i patimenti dei soldati in guerra. Da parte mia, utilizzando materiale organico destinato alla discarica, celebro un elemento che ci ha nutrito con le sue parti edibili e col suo scarto, con le sue qualità morfologiche sinuose e variopinte, continua a donarci il ricordo della sua spettacolarità. Nelle mie opere cerco anche di rappresentare il dramma dei pescatori che, uscendo in mare, rischiano quotidianamente la vita per sostenere le loro famiglie. Un’altra analogia può essere il metodo di conservazione degli elementi: come Damien Hirst tratta gli organici con formalina, io tratto il pesce con una soluzione che ne conserva addirittura i colori naturali. Penso alla cristallizzazione delle opere... a Pierre Fernandez Arman che bloccava gli elementi con colate di resina trasparente.
Tra le mostre più importanti alle quali ha partecipato c’è la 54a edizione della Biennale di Venezia... Sicuramente una grande vetrina, caratterizzata da un’idea piuttosto innovativa di Vittorio Sgarbi, quella di far conoscere artisti seppur eccellenti ma purtroppo privi del supporto di galleristi o curatori. Un limbo che li rende praticamente degli emeriti sconosciuti senza alcuna visibilità. Un’intuizione che ha aperto la strada a nuove avanguardie o, semplicemente - e gratuitamente -, ha dato loro la possibilità di incontrare quell’l% in grado di apprezzare il loro lavoro. Tra le “personali” che reputo più importanti, non posso non ricordare il “Mare nero” al Museo Caffi di Bergamo che, tra l’altro, ha anche rappresentato il mio esordio. Poi, per il centenario della Olivetti alla Fondazione N. Capellaro, è stata la volta di “Ivrea sculture e installazioni”. Un anno decisamente proficuo che si è dilatato dal Museo Garda con “Allarme Ambiente”; al Palazzo Bianco di Genova in occasione di “European Week for Waste”; a Milano Arte Accessibile col progetto “Le pelli del mondo” a cura di Francesca Baboni... E ancora alla Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi con la mostra “Rossomare” a cura di Maria Flora Giubilei; a Montecarlo ArtMonaco col progetto “EkoVespa”, alla presentazione al Museo Piaggio “Giovanni Alberto Agnelli” a Pontedera della “Ekovespa Project” dov’è tutt’ora esposta; a Milano AAM con la presentazione di “Eko500 Project”; a Montecarlo per il Concorso Internazionale “GemLucArt” e, all’Ambasciata Italiana del Principato, con l’opera “Prede e Predatori”; poi, come abbiamo visto, alla 54a Biennale di Venezia curata da Vittorio Sgarbi e poi in Cina, al Teatro Stabile Only Italy di Hangzhou; all’Open Art Fair di Utrecht col progetto “Vis, Fao 27”.
Qual è stato il giudizio di Vittorio Sgarbi alle sue opere? Alla Biennale ha osservato con interesse l’installazione, considerando anche l’originalità del materiale utilizzato e il messaggio espresso. Il mese scorso, sono stato piacevolmente colpito anche in occasione della mostra “Vernice di Forlì” dove Sgarbi, in visita alla mia esposizione, ha apprezzato “Skin Simples”, un’opera che raccoglie i vari campioncini di tessuto organico che hanno dato vita al complesso progetto “Teuthoidea” di quest’anno.
Ci sono delle tecniche particolari per la lavorazione della resina? E’ perfettamente uguale a quella di molti artisti, il precursore dei quali fu P.F.Arman. Con alcune accortezze, sono riuscito nella lavorazione a limitare al minimo l’ingresso di aria e di umidità, un’espediente che dona all’opera una lucentezza inusuale. La particolarità a cui dare maggiormente attenzione è invece l’utilizzo dell’elemento organico che subisce una sorta di plastinazione evitando in tal modo la perdita del colore. “Teuthoidea”, il mio nuovo progetto, è superiore al precedente in quanto sfrutta la presenza dei cromatofori e, a seconda dei metodi - diversi per ogni pelle - di intervento, cambia colore all’elemento primario. L’aggiunta di interventi pittorici, inseriti utilizzando l’inchiostro organico rilasciato, impreziosiscono ancora di più l’opera.
Qualche sogno da esaudire? E chi non ne ha? Vorrei poter entrare in qualche progetto per l’Expo 2015. Il tema che svolgo con “Nutrire il pianeta” credo sia assolutamente pertinente. Con estrema modestia, voglio sottolineare una mia citazione: “Dall’edibile che nutre il corpo, all’arte che nutre lo spirito”. In futuro, vorrei essere riconosciuto nel circuito internazionale per la mia singolare ricerca, grazie soprattutto a una gigantesca installazione organica shock che ho già progettato ma che, per la preparazione, richiede almeno un anno di lavoro e qualche munifica sponsorizzazione. E se sogno deve essere, allora vorrei anche che fosse esposta in un grande Museo o in una grande Fondazione. A Torino ne abbiamo alcune molto importanti, adattissime a questi progetti d’avanguardia.
Alla fiera “Vernicea” di Forlì ha ottenuto riscontri interessanti? Si è stata una bella manifestazione, molto viva e ben organizzata. Soprattutto una delle poche dedicate esclusivamente agli artisti che possono esprimersi liberamente e in piena autonomia. Per quel che riguarda i miei lavori, ho avuto molti consensi per la poetica e la lirica che esprimono e anche per il messaggio espresso. Innegabile, soprattutto, la grande curiosità per il materiale utilizzato. Un vero propellente per nuovi progetti artistici: uno su tutti, l’etichetta per una bottiglia Imperiale - 6 litri di vino - che celebrerà le storie di epoche passate delle Strade del Sale delle Langhe, il connubio ideale tra i prodotti del mare e della terra.
Il tempo di crisi penalizza anche l’arte? La crisi ha toccato tutti i settori e, quello artistico, penso sia stato tra i più colpiti. Un periodo non esaltante, ma l’esperienza commerciale mi insegna che è in tempo di crisi che bisogna seminare per essere pronti nel momento della ripresa. Un contributo statale potrebbe aiutare, penso in particolare all’Iva che in altri Stati è al 7% o all’abbattimento del 50 % in Spagna.
La sua ricerca artistica, che storicizza materiale organico che attraverso la resina, sigilla il contenuto nel tempo... Il mio scopo è quello di “nobilitare” lo scarto organico, ultimo anello della filiera alimentare. Nel ricordare la parte edibile che ci ha nutrito, grazie a movimenti poetici e sinuosi delle dita, trasformo questo “scarto” in opere altamente simboliche. Un intervento che serve a bloccare e conservare le fantastiche caratteristiche che la natura ci regala: le venature, le escrescenze, gli strappi, i tagli, i colori. Doni della natura che cerco di conservare, esaltare, cristallizzare. E anche l’inchiostro organico - opportunamente trattato - diventa l’attore protagonista di una fantastica esplosione di “nuova vita”.